Luciano Galli
DATA: BOLOGNA 1920
PROFESSIONE: MECCANICO
CAMPO D'INTERESSE: UFO, ALIENI
La
sua storia ci è pervenuta dal CISU (Centro Italiano Studi Ufologici),
sezione fiorentina e da un articolo sulla Domenica del Corriere del
1962 a firma di Renato Albanese.
Luciano Galli era un meccanico riparatore di biciclette di Bologna ove
risiedeva nei pressi della centralissima via Castiglione. Il
giornalista se n'era interessato su segnalazione del console Alberto Perego, autentico pioniere dell'ufologia italiana, e lo descrisse così:
"Piuttosto minuto, non dimostra l'età
che ha, tanto che il suo viso, incorniciato da due lenti da miope,
esprime una cert'aria stupita e fanciullesca: sembra un timido e quando
parla si scusa sempre...è un modesto operaio che ha sempre a che fare
con la fiamma ossidrica e gestisce un modesto laboratorio proprio nei
pressi di casa".
Disse al giornalista che era stato testimone di un fatto incredibile e
si diceva addirittura pronto a giurarne l'autenticità dinanzi ai propri
figli. Ecco cosa accadde:
il 7 luglio 1957 o forse 1959 (non ricorda
bene), verso le 14.30 il Galli uscì di casa dopo aver pranzato. Aveva
indosso la sua tradizionale tuta blu da lavoro e si stava recando, come
ogni giorno, alla sua officina sita in Vicolo delle Dame. All'imbocco
della viuzza venne accostato da una Fiat 1100 nera, dalla quale discese
un uomo alto, di carnagione scura, dal viso regolare e dai capelli ed
occhi nerissimi. Il suo volto gli ispirava una profonda bontà e si
presentò in doppiopetto grigio, camicia e cravatta, parlando
correntemente l'italiano. Al volante del veicolo nero c'era un altro
individuo, vestito di un grigio molto chiaro, bruno, con i baffi e dai
lineamenti delicati. Non aveva i baffi e non parlava mai. Il tipo
baffuto, Luciano ricorda di averlo notato altre volte, sembrava
pedinarlo, ma a differenza degli altri incontri, questa volta lo invitò
a seguirlo. Gli disse di aver fiducia e che non gli avrebbe corso
nessun pericolo. I tre montarono nel veicolo che si diresse verso la
periferia di Bologna, entrarono nel quartiere San Ruffillo e da lì
imboccarono una strada campestre, su per una ripida collina denominata
"Cresta Croara", sita a 5-6 Km. dalla città. Fermata la macchina sul
crinale, scesero in una specie di catino noto come "Buca del Prete
Santo", costeggiato da un verde pianoro: ad attenderli c'era un disco
volante di 15 metri di diametro, sospeso a 2 metri da terra e di color
grigio lucente. Dal disco uscì un cilindro alla cui base si aprì un
portello consentendo ai tre di entrarvici. In faccia a Luciano
esplosero 2 lampi simili ai flash, ma i due accompagnatori lo
tranquillizzarono dicendo di averlo fotografato. Luciano descrisse come
poteva la sala centrale di comando del velivolo:
"La spaziosa cabina di pilotaggio era
rotonda e conteneva un gran numero di strumenti e di pannelli con
vari tipi di lancette. C'erano anche degli sportelli e i sedili
sembravano fissati al suolo. In mezzo al pavimento c'era una specie di
finestra rotonda, larga circa 1 metro, attraverso la quale si poteva
vedere la Terra, sempre più lontana da noi. Dapprima appariva simile a
come la si vede dai nostri aerei, poi, quando raggiungemmo la zona
buia, notai che assomigliava alla Luna, e poi ancora a Venere o Marte".
Luciano, compreso di trovarsi dinanzi ad extraterrestri, rimase
sorpreso di come il comandante gli parlasse in perfetto italiano, e la
spiegazione fu secca: "Ho usato un ottimo metodo".
Di lì a poco, fecero
ingresso in un enorme nave-madre dalla sagoma di un dirigibile con la
coda mozzata. Lungo 600
metri circa, emanava una luce fosforescente, sembrava illuminato da
fari invisibili. A poppa evidenziava 6 portelloni dai quali entravano
ed uscivano dischi volanti. I portelloni erano divisi in 3 piani, da un
lato e dall'altro e consentivano l'accesso ad immensi hangar. Stimò che
potessero contenere una cinquantina di dischi volanti. VIcino ai
velivoli c'era un gran movimento di uomini e donne. Indossavano tute di
plastica luccicante o di materiale setoso e quando si incontravano
sorridevano sempre. Le donne erano bellissime ed amichevoli ma
sembravano non destare i classici desideri umani. Galli chiese al suo
accompagnatore la loro provenienza ed egli rispose in
perfetto italiano rivelandogli di provenire da quel pianeta che gli
umani chiamano Venere.
Luciano
ricordò di essere entrato in un grande atrio, simile ad un'immensa
biblioteca, e di lì in un'altra sala comandi. Poté notare uno strano
emblema: un triangolo che racchiudeva la Terra, e sulla quale erano
raffigurati 2 rami di rose, irti di spine, incrociati dentro e fuori al
pianeta. Una metafora, gli fu confidato, delle contraddizioni e dei
problemi che incombono su di un pianeta così splendido. Lo stesso
simbolo verrà notato quarant'anni dopo sulla pancia di un velivolo
triangolare che sorvolava lentamente la cittadina di Woodville (Rhode
Island). In quell'occasione il simbolo rivelò 2 fulmini in luogo dei
rametti di rose.
Dopo l'escursione, fu fatto rientrare nella navetta, gli fu offerto da
bere e da fumare, e fu riportato alla Cresta della Croara. Alle 17:30
era già a casa.
È interessante notare che il contattista siciliano Eugenio Siragusa
raccontò di averlo visto sulla "Luna Nera" poco prima che gli
astronauti americani conquistassero la Luna (1969). La Luna Nera, da
non confondersi con quella astrologica, sarebbe un'enorme e bellissima
città-satellite in orbita fra Luna e Venere, una specie di gigantesco
satellite che regolerebbe la distanza della Luna dalla Terra,
impedendole di impattare col nostro pianeta. Quindi, considerati gli
anni di attività dei due contattisti, possiamo dedurre che quella degli
anni '50, per Luciano, non dev'essere stata l'unica escursione
extraterrestre.